Agrigento 2025: l’anno che avrebbe potuto essere!

Nel cuore della Sicilia, tra i templi dorici e le pietre che sanno di eternità, Agrigento avrebbe dovuto risorgere. L’anno 2025, consacrato alla cultura, era l’occasione per restituire voce e visione a una città spesso relegata ai margini, nonostante la sua storia millenaria e l’eredità che porta impressa nel nome stesso.

E invece oggi, a pochi mesi dalla fine di quell’anno così atteso, la città si scopre affaticata, impigliata in una gestione confusa, in bilanci opachi, in una promessa di bellezza che rischia di restare solo annuncio. A metterlo nero su bianco è la Corte dei Conti della Sicilia, che in un’istruttoria di oltre 140 pagine denuncia ritardi, inefficienze, assenza di controlli e una governance fragile. Su 44 progetti culturali annunciati, solo 18 risultano concretamente avviati. Il resto è ancora fermo: tra verifiche preliminari, affidamenti ai Comuni e piani operativi che stentano a prendere forma.

Nel dossier presentato al Ministero brillavano titoli ambiziosi: una mostra su Banksy, una “Silent Room” immersa nell’acqua, un Giardino della Pace. Progetti immaginati per restituire ad Agrigento una dimensione internazionale. Eppure, per la Corte, molte di queste iniziative restano senza sede, senza data, senza certezza. “Più sogni che solide realtà!”

La Fondazione “Agrigento 2025”, ente deputato alla regia di questo disegno culturale, è finita al centro di 11 rilievi formali. Gli atti sono ora nelle mani della Regione Siciliana, del Ministero della Cultura, del Comune, del Consiglio comunale e degli organi di controllo. C’è tempo fino al 25 settembre per rispondere. Poi la Corte deciderà se archiviare o trasmettere tutto alla Procura.

E mentre i rilievi si fanno ufficiali, le critiche sul campo si fanno corali. Il Codacons denuncia il mancato coinvolgimento del territorio, il disinteresse verso le realtà locali, l’assenza di una vera visione partecipata. A simbolo di questa distanza si è imposto, per molti, il convegno inaugurale al Teatro Pirandello: costoso, solenne, ma con la platea semivuota, senza sindaci, senza cittadini. Senza vita!

Agrigento, oggi, sembra smarrire il senso stesso della designazione ricevuta. Capitale della Cultura: non per diritto ereditario, ma per volontà progettuale, per capacità di interpretare il presente con coraggio. Eppure, ciò che affiora è l’immagine di una città imprigionata in un meccanismo lento, burocratico, disorientato.

Ora che il tempo stringe – mancano appena tre mesi – resta uno spiraglio per tentare un sussulto, un gesto risolutivo che salvi almeno in parte l’onore dell’iniziativa. Ma il rischio è che questo 2025 si chiuda come una parabola incompiuta, dove la cultura si è piegata all’inerzia e il riscatto si è arenato nella gestione.

Sarebbe un epilogo amaro, per una città che fu definita da Pindaro “la più bella tra quelle dei mortali”. Una bellezza che non si difende da sola, e che oggi – nel silenzio assordante di progetti irrealizzati e di piazze vuote – ci interroga. Non solo su Agrigento, ma su cosa intendiamo davvero quando pronunciamo la parola “cultura”.

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