Allarme istruzione: in Sicilia il 60% degli studenti è sotto la soglia delle competenze di base

In Sicilia il 60% degli studenti non raggiunge le competenze minime: istruzione a due velocità in Italia

In Italia, il luogo in cui si nasce e si studia può segnare in modo profondo il futuro scolastico di uno studente. A confermarlo, ancora una volta, è l’analisi congiunta della Fondazione Agnelli e della Fondazione Rocca, presentata nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati, che fotografa una realtà consolidata quanto preoccupante: in Sicilia, come in altre regioni del Mezzogiorno, la maggior parte degli studenti non raggiunge neppure il livello minimo di competenze in italiano e matematica.

Secondo i dati elaborati a partire dalle prove Invalsi, oltre il 60% degli studenti siciliani si colloca sotto il livello 3 della scala di valutazione, considerato la soglia minima di competenza. La situazione è simile in Calabria, Campania e Sardegna. Un dato che diventa ancora più allarmante se si considera che gli studenti delle regioni del Nord – come Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia – fanno registrare risultati mediamente superiori di oltre due anni scolastici rispetto ai coetanei del Sud.

Il divario territoriale, già noto e discusso, è solo una parte di un fenomeno più complesso. Il rapporto mette infatti in evidenza che le differenze nei risultati scolastici non si spiegano unicamente con il contesto geografico, ma risentono fortemente delle condizioni socio-economiche, delle scelte didattiche e delle caratteristiche dei singoli istituti scolastici. Anche all’interno di una stessa regione, o addirittura della stessa città, possono registrarsi differenze profonde tra scuole e indirizzi di studio.

A fare la differenza, secondo la ricerca, sono spesso fattori organizzativi e metodologici: scuole che offrono attività extracurricolari, percorsi personalizzati, laboratori e una didattica centrata sullo studente tendono a ottenere risultati migliori. Elementi come la qualità della leadership scolastica, l’impiego di prove standardizzate e l’innovazione didattica incidono, anche se in misura minore, frenati da una limitata autonomia decisionale degli istituti italiani, che spesso non possono scegliere i docenti né gestire in modo flessibile le risorse.

A fronte di questo scenario scoraggiante, il rapporto individua anche alcune esperienze virtuose. Sono cinque gli istituti scolastici italiani analizzati in dettaglio: un liceo, un tecnico e tre scuole professionali in Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Puglia. Nonostante si trovino in contesti spesso difficili, questi istituti riescono a ottenere risultati nettamente superiori alla media grazie a un’organizzazione efficiente, a una didattica partecipativa e a un forte lavoro di squadra tra i docenti.

Le strategie comuni di queste “scuole eccellenti” includono esercitazioni pratiche, lavoro per gruppi, compiti di realtà e un costante monitoraggio delle difficoltà individuali. L’offerta extracurricolare è ampia e pensata per stimolare la motivazione, l’inclusione e l’autostima degli studenti, in particolare di quelli con fragilità o provenienti da contesti svantaggiati.

Sono eccezioni che confermano la regola, ma che dimostrano anche quanto sarebbe possibile migliorare l’intero sistema scolastico italiano se venissero messi a sistema modelli didattici e organizzativi già esistenti. La sfida, secondo gli esperti, non è solo ridurre i divari territoriali, ma rendere accessibile a tutti – indipendentemente dalla provenienza – una scuola capace di offrire reali opportunità di crescita.

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