Si torna in classe: tra buone intenzioni, cellulari spenti e crepe nei muri!

Suona la campanella!
Buoni propositi, agende nuove e solite, vecchie promesse. E anche quest’anno la scuola riparte – in Sicilia come altrove – con la consueta energia di chi vuole crederci ancora. Ma a ben vedere, più che un nuovo inizio, sembra l’ennesima replica: novità annunciate, problemi rinviati, entusiasmi frenati.

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito, in perfetto stile da “new season”, ha presentato alcune misure novità per l’anno scolastico 2025/26. La più discussa? Il divieto dell’uso dei cellulari in classe, salvo che per fini didattici. Un ritorno all’attenzione “analogica”, si direbbe, che punta a disintossicare studenti e docenti dalla sovrastimolazione digitale. Intento nobile, per carità. Ma in una regione dove in molte scuole, se la rete Wi-Fi esiste, a stento prende in presidenza, la domanda è legittima: a quale modernità stiamo rinunciando, esattamente?

Accanto a questa misura, l’introduzione di percorsi di orientamento potenziati, l’ingresso – almeno nelle intenzioni – dell’intelligenza artificiale nei programmi scolastici e il consueto richiamo all’ “alleanza educativa” tra scuola, famiglia e territorio. Tutto giusto, tutto condivisibile. Tutto, purtroppo, già sentito.

Il copione di sempre!!!
Già, perché al di là delle slide ministeriali e delle conferenze stampa, la scuola siciliana riparte con lo zaino carico… ma non di libri: di problemi strutturali mai risolti. Famiglie alle prese con un caro scuola insostenibile – tra testi scolastici, materiale didattico, contributi “volontari” e trasporti – e studenti che, in diversi casi, torneranno in aule senza certificato di agibilità.

In molte scuole siciliane il concetto di “comfort climatico” resta confinato nei programmi di Scienze. I riscaldamenti, quando esistono, funzionano a intermittenza mistica; i condizionatori, invece, sono spesso più leggenda che dotazione reale. Così, in inverno si fa lezione col cappotto addosso e le mani intirizzite; in estate l’aula si trasforma in una sauna silenziosa, con l’unico refrigerio offerto dalle finestre aperte… sul traffico!

Ma il clima, si sa, è solo uno dei tanti arbitri del calendario scolastico siciliano: se manca l’acqua, la scuola chiude; se piove troppo, chiude; se il meteo minaccia, chiude lo stesso. Una routine talmente consolidata da meritare un capitolo a parte nel piano dell’offerta formativa. Il risultato? Una didattica a singhiozzo, costantemente interrotta da emergenze che, a forza di ripetersi, non fanno più notizia.

Nel frattempo, la macchina dell’istruzione arranca anche sul fronte del personale: migliaia di cattedre restano scoperte, con supplenze assegnate all’ultimo minuto o in corso d’anno. In alcune province dell’Isola la “continuità didattica” è ormai poco più che una formula retorica, buona per i documenti ufficiali, ma del tutto estranea alla realtà vissuta in classe.

Intanto, un esercito di docenti precari continua a girare scuole, regioni, province e plessi con contratti a tempo e valigie sempre pronte, in attesa di una stabilizzazione che sembra ogni anno più lontana.

Riformare è difficile. Ma, oggettivamente, far finta che basti è peggio!
E se le intenzioni del Ministero possono anche essere sincere – e qualche passo avanti c’è stato – continuare in Sicilia a immaginare una scuola “del futuro”, quando i muri cadono a pezzi e l’acqua manca un giorno sì e l’altro pure, rischia di suonare come una beffa.

Perché la scuola siciliana non ha bisogno solo di regolamenti nuovi o innovazioni digitali: ha bisogno di aule dignitose, di impianti funzionanti, di docenti stabili, di risorse vere, e soprattutto di rispetto. E magari anche di un po’ meno retorica, ché di parole, qui, ce ne sono già state abbastanza.

Quindi sì, da quest’anno cellulari spenti in classe: si torna a guardarsi in faccia, a scrivere con la penna, a spegnere le notifiche. Ma fuori da scuola, quelle notifiche continuano ad arrivare: sull’ insufficienza di fondi, sulle scuole chiuse per lavori mai iniziati o – tanto più – perché “manca l’acqua”, sulle famiglie lasciate sole, sui precari dimenticati.

Suona la campanella.
Non solo per gli studenti, per i docenti e per le famiglie. Suona per tutti. Per chiederci se vogliamo continuare a fingere che tutto vada bene, o se finalmente vogliamo imparare la lezione più urgente: che la scuola non ha bisogno solo di inizio. Ha bisogno di futuro. Buon anno scolastico!!!

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